sintesi dell’intervento del Prof. Maurizio Ambrosini al convegno del 5 aprile

Noi definiamo come “immigrati” solo una parte degli stranieri che risiedono stabilmente e lavorano nel nostro paese. Ne sono esentati non solo i cittadini svizzeri, ma anche giapponesi e coreani, anche allorquando ricadono nella definizione convenzionale di immigrato adottata dall’ONU: “una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno”.

Lo stesso vale per il termine extracomunitari, un concetto giuridico diventato invece sinonimo di “immigrati”, con conseguenze paradossali: non si applica agli americani, ma molti continuano a usarlo per i rumeni. Noi non chiamiamo immigrati gli stranieri provenienti dai paesi ricchi.

E neppure i benestanti, o le persone famose, provenienti da paesi poveri.

Il termine si applica solo agli stranieri residenti classificati come poveri

La ricchezza sbianca” dice il prof Ambrosini.

Dobbiamo raccontare una storia diversa sull’immigrazione.

Molti pensano che l’immigrazione sia in aumento drammatico, invece da alcuni anni è stazionaria a 5,5 milioni di persone.

Se parliamo di rifugiati, i dati rilevati ci dicono che la guerra in Siria e in Iraq ha costretto alla fuga 5 milioni di profughi.

Secondo i dati Unhcr solo una minoranza di questi arriva in Europa l’86% in cerca di asilo, lo cerca o all’interno del proprio paese, in zone più sicure, o nei paesi limitrofi alle aree di crisi.

Meno del 10 % arriva in Europa.

In Libano vengono accolti 183 rifugiati ogni mille abitanti , in Italia 6.

Si ripete ogni giorno che siamo di fronte ad un fenomeno gigantesco, che proverrebbe dall’Africa e dal Medio Oriente e sarebbe composto soprattutto da maschi musulmani.

Percepiamo la presenza degli immigrati africani in maniera prevalente e invece la prima nazionalità di immigrati è quella rumena:1.200.00, seguita da quella albanese:480.000, marocchina:420.000, cinese:260.000 .

Le statistiche ci dicono che l’immigrazione è prevalentemente europea e femminile, proveniente da paesi di tradizione cristiana.

L’unico paese africano tra i primi sette è il Marocco, che non è un paese subsahariano.

Inoltre la grande maggioranza degli irregolari in Europa sono arrivati regolarmente, soprattutto con visti turistici e poi si sono fermati, mentre gli sbarcati via mare rappresentano solo il 13% sul totale.

E allora perché gli sbarchi sono vissuti e raccontati come una invasione pericolosa?

E perché ci allarmiamo?

Noi tendiamo a fidarci di più di ciò che vediamo, però ci allarmiamo di ciò che ci mette paura, ci mette a disagio, ci dà fastidio. Non vediamo le donne che lavorano nelle nostre case, che nei giorni di sole popolano i giardini in compagni degli anziani.

I politici invece di diffondere paure, dovrebbero aumentare le nostre sicurezze ad altri livelli, avere più attenzione al sociale, realizzare un vera politica di welfare.

La rabbia contro gli immigrati segue purtroppo la dinamica del capro espiatorio: in tempi di crisi e di fragilità si tende a dare la colpa alle minoranze fragili.

C’è bisogno di una narrazione diversa, c’è bisogno di tradurre i numeri e le ricerche in comunicazione che arrivi al grande pubblico.

C’è bisogno di luoghi di incontro, di possibilità di relazione diretta perché ha meno paura degli immigrati chi più li conosce, mentre l’ansia e la paura sono più legate alla relazione indiretta, quella che passa attraverso la televisione.